EVARISTO GALOIS

Rivoluzione Copernicana

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La rivoluzione astronomica del Cinquecento

di 

Germano  Germani

 

Germano  Germani

 

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La Rivoluzione Copernicana

di Germano Germani

La nuova filosofia richiama tutto in dubbio

l’elemento Fuoco è per intero spento

il Sole è perduto e la Terra; e in nessun uomo

la mente gli insegna più dove cercarla.

Spontaneamente gli uomini confessano

che è consumato questo mondo,

quando nei pianeti e nel firmamento

cercano in tanti il nuovo. E vedono che il mondo

è sbriciolato ancora nei suoi atomi.

Tutto va in pezzi, ogni coerenza è scomparsa,

ogni giusta provvidenza, ogni relazione:

principe, suddito, padre, figlio son cose dimenticate,

perché ogni uomo pensa d’esser riuscito, da solo,

a essere una Fenice …

                                                           John Donne: Anatomy of the world (1611)

 

Questi versi del grande poeta inglese John Donne (1573-1631) ben testimoniano lo smarrimento di fronte al crollo di consolidate e rassicuranti certezze. L’opera più importante di Copernico (1473-1543) De revolutionibus orbium coelestium venne pubblicata nel 1543, anno della morte del suo autore, e tuttavia la nuova astronomia ivi esposta fu definitivamente accettata solo circa cento anni dopo. Non a caso il mondo accademico si dimostrò a lungo ostile di fronte alle nuove idee; ed invero per costruire una nuova astronomia e una nuova fisica si rese necessario abbattere ed abbandonare molti presupposti sulla cui validità, peraltro confortata anche dalle Scritture, era ormai stata raggiunta una certezza quasi assoluta.  Tra i presupposti da abbandonare ricordiamo ad esempio:

 1)      la distinzione di principio tra una fisica del Cielo e una fisica terrestre, che risultava dalla divisione dell’universo in due sfere, l’una perfetta, l’altra soggetta al divenire;

2)      la convinzione del carattere necessariamente circolare dei moti celesti;

3)      il presupposto dell’immobilità della Terra e la sua centralità nell’universo; presupposto che trovava conferma in una serie di argomenti all’apparenza inconfutabili (il moto terrestre proietterebbe in aria oggetti ed animali) e che trovava ulteriore conferma nel testo stesso delle Scritture (Giosué che ferma il Sole);

4)      le sfere celesti sono reali e l’universo è finito

5)      la convinzione che non ci sia nessun bisogno di addurre una causa per spiegare lo stato di quiete di un corpo, mentre, al contrario, ogni movimento deve essere spiegato o come dipendente dalla forma o natura del corpo o come provocato da un motore che lo produce e lo conserva.

 Per circa cento anni ciascuno di questi presupposti venne discusso, criticato, respinto. Ne risultò una nuova immagine dell’universo fisico destinata a trovare il suo compimento nell’opera di Isaac Newton. Analizziamo quindi le tappe principali di quella che venne definita la “Rivoluzione Copernicana”.

 

L’Universo Tolemaico

  

Figura  SEQ Figura \* ARABIC 1: Il moto dei Pianeti secondo Tolomeo

 

 Per più di un millennio l’Almagesto resta a fondamento del sapere astrologico e astronomico. Assumendo fissa la posizione della Terra al centro dell’Universo, diventa necessario escogitare una complicata serie di movimenti per dar conto dei moti dei corpi celesti. Come giustificare ad esempio il moto retrogrado dei pianeti? Secondo Tolomeo l’Universo è finito ed è limitato dalla sfera delle stelle fisse; questa sfera ruota attorno ad un asse fisso, come è dimostrato dal moto delle stelle circumpolari (nel nostro emisfero le stelle descrivono delle circonferenze attorno alla stella Polare)  e dal fatto che le altre stelle sorgono e tramontano agli stessi punti dell’orizzonte. I pianeti ruotano attorno al centro dell’Universo, quindi attorno alla Terra. Ma è noto che i pianeti, visti dalla Terra,  non sembrano descrivere orbite circolari, infatti la loro distanza dalla Terra non si mantiene costante ed inoltre in alcuni momenti le loro orbite sono retrograde. Poiché però il moto perfetto è il moto circolare, tutti i loro movimenti debbono comunque essere ricondotti a combinazioni di moti circolari. Il moto circolare del pianeta avviene su di un epiciclo il cui centro ruota a sua volta attorno alla Terra su di un deferente. La figura 1 mostra in a) il moto reale del pianeta ed in b) il moto visto da Terra. E tuttavia la combinazione di epicicli e deferenti ancora non era in perfetto accordo con le osservazioni astronomiche; si rese quindi necessaria una ulteriore ipotesi, quella degli equanti (vedi fig. 2).

Figura  SEQ Figura \* ARABIC 2: l'ipotesi degli equanti.

 Il centro dell’epiciclo C non si muove uniformemente attorno al centro del deferente D. si suppone invece che il centro C dell’epiciclo (sul quale si muove il pianeta), si muova uniformemente attorno ad un altro punto E (equante) situato dalla parte opposta della Terra rispetto a D. Ma è proprio la teoria degli equanti, come dirà Copernico, che viola “i primi principi circa l’uniformità del movimento”.

 

L’Universo di Copernico

 

Figura 3: il sistema solare illustrato e spiegato da Niccolò Copernico (1473-1543)

Prima ancora del De revolutionibus Copernico aveva pubblicato nel 1510 circa De hypothesibus motuum coelestium commentariolus; in questo lavoro vengono formulate le seguenti ipotesi:

 1)      non esiste un solo centro di rivoluzione per tutti i corpi celesti, infatti la Terra è il centro di rivoluzione della Luna, il Sole è il centro di rivoluzione dei pianeti;

2)      il centro dell’universo non coincide con il centro della Terra;

3)      la distanza Terra-Sole è molto piccola in rapporto all’altezza del firmamento; l’universo quindi ha dimensioni molto più grandi di quel che si pensava e le stelle fisse appaiono tali a causa della loro grande distanza dalla Terra;

4)      tutti i moti che appaiono in cielo non derivano da movimenti del firmamento, che è immobile, ma dal moto della Terra. Questa compie una rotazione completa attorno all’asse congiungente i suoi poli in un giorno;

5)      poiché la Terra ruota anche attorno al Sole, ne deriva che la Terra è dotata di più di un movimento;

6)      il moto retrogrado dei pianeti è apparente, in quanto non deriva dal moto proprio dei pianeti stessi ma da quello della Terra.   

 

Figura  SEQ Figura \* ARABIC 3: il sistema solare illustrato e spiegato da Niccolò Copernico (1473-1543)

 Il sistema copernicano sembra dunque spiegare con maggiore semplicità rispetto a quello tolemaico, il moto dei corpi celesti. Se si pone il Sole fermo al centro dell’universo e la Terra che ruota attorno ad esso su di un eccentrico (è noto infatti che la distanza Terra-Sole non è invariabile), allora tutti i moti che avvengono nell’universo sono spiegabili mediante i moti regolari e uniformi del solo globo terrestre. Peraltro veniva fatto salvo in tal modo il principio della circolarità dei moti planetari, senza necessità di fare ricorso a epicicli, deferenti ed equanti.

La semplicità del nuovo sistema è tuttavia più apparente che reale; Copernico è costretto, in primo luogo, ad ammettere che il centro dell’universo non è il Sole, ma il centro dell’orbita terrestre; il suo sistema, è stato detto, è da definirsi eliostatico piuttosto che eliocentrico;  è costretto a reintrodurre una serie di cerchi ruotanti attorno ad altri cerchi come in Tolomeo; ed infine deve riconoscere l’esistenza di un terzo movimento della Terra, moto di declinazione, per spiegare l’invariabilità dell’asse terrestre rispetto alle stelle fisse.

L’ipotesi più ardita avanzata da Copernico è ad ogni modo quella dell’attribuzione alla Terra del moto diurno di rotazione attorno al proprio asse. Ipotesi che fu subito rifiutata dal mondo accademico. Non a caso i primi sostenitori di Copernico non furono gli astronomi di professione ma i filosofi. Francesco Patrizi (1529-1597) ad esempio nega l’esistenza delle sfere celesti alle quali sarebbero infissi stelle e pianeti; stelle e pianeti si muovono da soli, non sono fissate a sfere reali, infatti le loro distanze dalla Terra non sono costanti, ma variabili, e l’estensione dell’universo non ha limitazioni. Il moto delle stelle fisse è apparente e dipende dal moto diurno della Terra.

William Gilbert (1540-1603) a sua volta rifiuta l’esistenza delle sfere celesti, accetta il moto diurno della Terra attorno al proprio asse, spiega la persistenza della Luna sulla sua orbita alla forza magnetica della Terra, i cui effetti sono estesi fino all’orbita lunare. Tra gli astronomi di professione invece la negazione della realtà delle sfere celesti si afferma solo attorno agli anni trenta del Seicento. Ed invero l’astronomo di professione non può basarsi su speculazioni filosofiche ma deve costruire le sue teorie a partire da dati certi.

 

Il sistema tychonico

 

La sera dell’11 novembre 1572, tornando a casa, Tycho Brahe, attento osservatore dei cieli, vide nella costellazione di Cassiopea una nuova stella. La sua luminosità era variabile, al massimo dello splendore  era paragonabile a quella del pianeta Venere per poi diminuire fino scomparire del tutto agli inizi del 1574. Poiché non si trattava di una cometa, infatti questa stella appariva sempre nella stessa posizione rispetto allo sfondo delle stelle fisse, allora nei cieli immutabili si era verificato un mutamento; veniva in tal modo a cadere la distinzione tra mondo celeste e mondo sublunare; il mondo celeste non è più incorruttibile, immutabile ed eterno ma, al pari di quello terrestre, è soggetto a mutamenti.

L’osservazione del moto delle  comete poi costituì, per Tycho, una ulteriore prova: le comete non seguono la legge di nessuna sfera ma agiscono in contraddizione con esse, perciò, come scriverà a Keplero “la realtà di tutte le sfere deve essere esclusa dai cieli”.

Veniva così a cadere uno dei dogmi dell’astronomia tradizionale, quello della incorruttibilità ed immutabilità dei cieli. Tuttavia Tycho non crede che alla Terra possano essere attribuiti tre movimenti; nel sistema ticonico la Terra è immobile al centro dell’universo racchiuso da una sfera stellare la cui rotazione quotidiana dà conto del moto delle stelle. La Terra è al centro delle orbite di Luna e Sole mentre il Sole è il centro delle orbite degli altri cinque pianeti. In tal modo Tycho escludeva ogni motivo di conflitto con le Scritture e ribadiva il principio della immobilità della Terra e della sua centralità nell’universo.

Ma le osservazioni di Tycho Brahe, proseguite per tutto il corso della sua vita, raggiunsero un grado di precisione altissimo e sui dati da lui tabulati Keplero fondò la nuova astronomia.

Laboratorio astronomico di Tycho  Brahe

 

Keplero

 

È con Giovanni Keplero che l’astronomia compie un salto di qualità; Keplero, che disponeva della immensa mole di dati raccolti dal suo maestro Tycho Brahe, non ricerca solo le leggi della struttura del cosmo ma affronta anche il problema del perché dei moti planetari.

Studiando l’orbita di Marte  Keplero, attraverso una lunghissima serie di calcoli, giunse a calcolare la distanza tra il pianeta ed il Sole nei vari punti dell’orbita; si rese conto in tal modo che la traiettoria di Marte non è un cerchio perfetto. Per oltre mille anni gli astronomi non avevano osato abbandonare l’ipotesi del moto perfettamente circolare dei pianeti. Keplero afferma invece che l’orbita del pianeta non è un cerchio, ma “a partire dall’afelio si incurva a poco a poco verso l’interno, tornando poi all’ampiezza del cerchio al perigeo: una tale traiettoria è detta ovale”. Anche il passaggio dall’ovale all’ellisse richiese molti calcoli. Alla fine Keplero si rende conto che solo ammettendo che l’orbita planetaria sia  una ellisse con il Sole uno dei due fuochi, l’accordo con i dati osservati  è perfetto (Prima legge di Keplero).  

Dalla diversa velocità della Terra nei vari punti della sua orbita attorno al Sole (la velocità aumenta quando la Terra si avvicina al Sole, diminuisce quando se ne allontana), Keplero dedusse la legge delle aree nota come seconda legge di Keplero.

A differenza di quanto erroneamente sostenuto dall’astronomia antica e dallo stesso Copernico che ritenevano le irregolarità del moto dei pianeti solo apparenti, per Keplero il moto dei pianeti è realmente non uniforme; viene così a cadere un altro caposaldo dell’astronomia tolemaica.

Successivamente, sempre sulla base dei dati raccolti da Tycho, Keplero enuncia la sua terza legge:”è un fatto assolutamente certo ed esatto che la proporzione tra i tempi periodici di due pianeti scelti a piacere è esattamente come la potenza di tre mezzi della proporzione tra le loro distanze medie, e cioè tra le loro stesse orbite”.

Come si è detto Keplero affronta  anche  il problema del perché dei moti planetari e ipotizza l’esistenza di una anima motrice posta nel centro di tutti i corpi, cioè nel Sole; questa anima mantiene in movimento tutti i pianeti, con una forza che tende ad attenuarsi con la distanza. Keplero ritiene, in accordo con Gilbert, che questa forza è di natura magnetica.

Occorre qui ricordare che Keplero non conosceva il principio di inerzia né il concetto di forza centripeta. Le tre leggi di Keplero, dedotte per mezzo dell’analisi dei dati ricavati dall’osservazione, furono definitivamente accettate solo quando Newton ne dimostrò la coerenza con la sua legge della gravitazione universale

 

Conclusioni

Come si è visto quindi, molti elementi che caratterizzano la “rivoluzione astronomica” (eliminazione degli eccentrici, degli epicicli, della realtà delle sfere celesti, del moto perfettamente circolare dei corpi celesti, infinità dell’universo), sono in realtà assenti in Copernico, e tuttavia le sue ipotesi hanno il merito di demolire alcune convinzioni che resistevano da oltre mille anni. Tali convinzioni erano talmente radicate nella coscienza collettiva da costituire, al pari delle verità rivelate un serio impedimento alla ricerca scientifica. Il dibattito sulla centralità della Terra nell’universo, e quindi sui suoi reali movimenti, apre una quantità di problemi nuovi,  e non solo in ambito astronomico ma anche e  soprattutto in ambito filosofico; si fa strada una valutazione nuova della natura e del posto che l’uomo occupa nella natura.

Così il termine rivoluzione, con il quale Copernico indica il moto dei corpi celesti, finisce per acquistare un ben più ampio significato in quanto indica una rivoluzione dell’intelletto che coinvolge tutte le certezze fino a quel momento acquisite, come drammaticamente testimoniato dai versi citati di John Donne.

Ben se ne avvide Giordano Bruno (1548-1600) che nel proemio ai dialoghi “de l’infinito, universo e mondi” (1584), così si esprime:

 “Aremo la via vera alla vera moralità, saremo magnanimi, spreggiatori di quel che fanciulleschi pensieri stimano; e verremo certamente più grandi che quei dei, che il cieco volgo adora, perché diverremo veri contemplatori dell’istoria della natura…Questa è quella filosofia che apre gli sensi, contenta il spirito, magnifica l’intelletto e riduce l’uomo alla vera beatitudine, che può avere come uomo… Non sono fini, termini, margini, muraglia che ne defrodino e sottraggano la infinita copia de le cose. Indi feconda è la terra e il suo mare; indi perpetuo è il vampo del sole, somministrandosi eternamente esca a gli voraci fuochi, e umori agli attenuati mari; perché dall’infinito sempre nova copia di materia sotto nasce. Di maniera che megliormente intese Democrito ed Epicureo, che vogliono tutto per infinito rinovarsi e restituirsi…”

 Bruno trasformò l’ipotesi eliocentrica copernicana in una solenne concezione liberatrice, avanzando l’idea di mondi infiniti, di spazi senza confini, abbattendo le antiche idee delle sfere celesti cristalline, affrontò l’idea dell’infinito universo e degli infiniti mondi. Come la lotta contro la “bestia trionfante” del mito e della superstizione libera l’umanità sul piano morale e la restituisce integra a se medesima, così l’interpretazione dell’ipotesi astronomica di Copernico come concezione rinnovatrice dell’universale natura, libera la mente da quell’antica barriera che le impediva di affrontare la natura come è, senza timori, per esplorarla e trasformarla. Per aver intuito questa verità Bruno affrontò il rogo con lo spirito dei primi martiri cristiani, per dare testimonianza della sua verità, piuttosto che rinnegarla.

E ben lo intese Keplero che rimproverò a Galileo di non avere mai dato a Giordano Bruno il dovuto riconoscimento nel punto in cui rinnovava le basi della scienza  e quelle della vita umana intera.

  

Figura  SEQ Figura \* ARABIC 4: Universo secondo Tolomeo

 

 

 

Figura  SEQ Figura \* ARABIC 5: Universo secondo Copernico

 

Figura  SEQ Figura \* ARABIC 6: L'universo secondo Tycho Brahe

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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