EVARISTO GALOIS

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Fermat

 

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Fermat: un giurista al servizio della matematica

 

Pierre de Fermat nacque il 20 agosto del 1601 nella città di Beaumont-de-Lomagne da una famiglia di alta borghesia. Il padre era un mercante di pellami, la madre apparteneva ad una famiglia di illustri giuristi. Studiò diritto a Tolosa dove, dopo una breve esperienza di avvocato, entrò in magistratura raggiungendo la carica di consigliere del re. Fermat svolse il suo magistero in maniera scrupolosa e, quando le condizioni glielo consentirono, si dimostrò anche piuttosto clemente. Tuttavia, come scrisse il matematico inglese Kenelm Digby, in un processo delicatissimo fu costretto a condannare al rogo un prete che aveva abusato delle sue funzioni. E questo gli procurò un immenso dolore. Fermat era considerato uno dei più grandi giureconsulti del suo tempo e parlava diverse lingue europee, cosa questa che gli consentì una corrispondenza epistolare con i maggiori matematici suoi contemporanei. Nei ritagli di tempo libero si dedicava con passione allo studio della matematica, disciplina che amava intensamente. Fermat non era un accademico o un matematico di professione, era soltanto un dilettante; sicuramente era il <<principe dei dilettanti>> come lo definì lo storico della matematica Eric Temple Bell. Fermat può essere considerato uno dei più geniali, originali ed interessanti matematici di tutti i tempi. Giunse per via geometrica al calcolo dell’integrale della funzione . Nell’opera <<De maximis et minimis>> introdusse per primo il concetto di derivata. Questi risultati fanno di Fermat uno dei più importanti precursori del calcolo infinitesimale. Assieme a Pascal può essere considerato il fondatore della teoria matematica del calcolo delle probabilità. Prima ancora che Cartesio, con quale intratteneva una corrispondenza epistolare di natura matematica, avesse pubblicato la sua Geometria, aveva scritto un trattato <<Ad locos planos et solidos isagoge>> (introduzione ai luoghi piani e solidi), che contiene i moderni fondamenti della geometria analitica.

 

 

 

Nell’opera <<De maximis et minimis>> introdusse per primo il concetto di derivata.

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Questo nuovo ramo della matematica, che Fermat espose nella sua opera senza conoscere le idee di Cartesio, fu elaborato utilizzando metodi sicuramente più moderni ed accessibili di quelli proposti da Cartesio. Alla base della geometria analitica di Fermat sta l’dea che una curva piana può essere rappresentata da una equazione a due incognite. Scrive nella sua brillante ed originale opera: <<Quando in una equazione finale compaiono due quantità incognite si ha un luogo, l’estremità dell’una descrivendo una retta o una curva piana>>. Con questa affermazione Fermat intendeva evidenziare la corrispondenza che esiste tra le due variabili e la curva piana che entrambe sono in grado di descrivere. Successivamente introduce gli assi cartesiani scrivendo quanto segue: <<Possono essere opportunamente stabilite le equazioni se si prendono due segmenti incogniti (le cui misure possono essere indicate con x ed y) formanti un dato angolo (di norma retto) ed un estremo (di uno di questi segmenti) si può determinare non appena è considerato dato l’altro>>. Con terminologia moderna possiamo dire che una equazione a due incognite rappresenta una curva piana; in particolare una equazione di primo grado a due incognite rappresenta una retta, mentre una equazione a due incognite di secondo grado rappresenta una conica. I contributi di Fermat alla geometria analitica ed all’analisi infinitesimale non erano che due aspetti del suo grande interesse per la matematica. Fermat si distinse per originalità, completezza e rigore logico nello studio dell‘aritmetica razionale, dove furono notevoli i suoi contributi. Le opere del matematico greco Diofanto esercitarono un forte fascino su Fermat, che può essere considerato  il fondatore della moderna teoria dei numeri. In particolare si occupò dei numeri perfetti, dei numeri amicabili, dei numeri figurati, dei quadrati magici, delle terne pitagoriche, della divisibilità, dei numeri primi. E’ singolare il fatto che Fermat non pubblicò le sue ricerche: le esponeva in lettere private indirizzate ai maggiori matematici dell’epoca con cui era in corrispondenza o le annotava nei margini dei libri che leggeva.

Si dilettava a rileggere le opere complete del matematico greco Diofanto che si occupava di questioni del genere: << Trovare due numeri interi x ed y tali che il quadrato di ciascuno di essi aumentato della somma dei due numeri sia un quadrato.>>. Si trattava di risolvere nell’insieme N il seguente sistema: . Quando Fermat trovava un’affermazione interessante nelle opere di Diofanto faceva un’annotazione nel margine del suo libro. Dopo la morte di Fermat, suo figlio Samuele ebbe la brillante idea di pubblicare un’edizione delle opere di Diofanto con le annotazioni del padre. Una terna  di numeri interi è pitagorica se verifica l’identità . Per esempio  è una terna pitagorica. Esistono infinite terne pitagoriche ed esistono anche diverse formule che le generano. Diofanto dimostrò che le terne pitagoriche possono essere generate dalle seguenti formule:

  ,     ,     con  m ed n numeri interi ed .

Pitagora e Platone avevano trovato:    ,    ,    che sono un caso particolare delle formule trovate da Diofanto. Fermat è legato ad un celebre teorema noto come l’ultimo teorema di Fermat o il grande teorema di Fermat. Esso afferma quanto segue: <<L’equazione , con , non ammette soluzioni intere>>.  

Su un margine della sua copia dell’edizione dell‘Arithmetica di Diofanto scrisse di essere riuscito a trovare una dimostrazione veramente meravigliosa di questo teorema ma si rammaricava di non poterla trascrivere in quanto il margine del libro era troppo stretto per contenerla. In margine alla sua copia dell‘Aritmetica Fermat annotò questa osservazione: <<Cubem autem in duos cubos, aut quadratoquadratorum in duos quadratoquadratos, et generaliter nullam in infinitum ultra quadratum potestatem in duos eiusdem nominis fas est dividere>>. E’ impossibile scrivere un cubo come somma di due cubi o una quarta potenza come somma di quarte potenze o, in generale, nessun numero che sia una potenza maggiore di due può essere scritto come somma di due potenze dello stesso valore.

 

 

 

 

Cubem autem in duos cubos, aut quadratoquadratorum in duos quadratoquadratos, et generaliter nullam in infinitum ultra quadratum potestatem in duos eiusdem nominis fas est dividere

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Era una affermazione straordinaria, ma che Fermat riteneva di potere dimostrare. Dopo avere definito la teoria in questa prima nota al margine, il Principe dei dilettanti scrisse un commento che avrebbe ossessionato generazioni di matematici.

<< Cuius rei demostrationem mirabilem sane detexi marginis exiguis non caperet>>

Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina. La reputazione di Fermat era tale che questa affermazione fu presa con molta serietà ed i più grandi matematici che lo seguirono cercarono invano di dimostrarla. Fermat dimostrò il suo teorema per  (la sua dimostrazione per  andò perduta). Il teorema fu dimostrato per  da Legendre, per  da Dirichlet (1823), per  da Lebesgue (1840). La congettura di Fermat resistette per tre secoli, finché nel 1993 il matematico inglese Andrew Wiles annunciò di averla dimostrata. Questo annuncio fece scalpore e fu organizzato un comitato di esperti per verificare la dimostrazione di Wiles. Uno di questi esperti trovò l’errore. Wiles non si demoralizzò ed assieme al suo allievo Taylor riuscì a completare i dettagli tecnici di questa nuova dimostrazione. Questa volta gli esperti del comitato non trovarono nulla ridire.

Il grande teorema di Fermat era dimostrato, la sfida lanciata da Fermat tre secoli prima vinta. La dimostrazione della congettura di Fermat non ha alcuna applicazione pratica. Tuttavia il lavoro svolto negli ultimi tre secoli per risolvere questo problema ha permesso lo sviluppo di interi settori della matematica i cui frutti si sono già visti e si vedranno, sempre di più, nei prossimi anni. Anche un matematico italiano dice di avere dimostrato il teorema di Fermat, utilizzando metodi elementari identici o simili a quelli utilizzati probabilmente dal Principe dei dilettanti. Si chiama Andrea Ossicini, ha 44 anni ed è di Roma. La dimostrazione proposta, nel caso ne venisse autorevolmente accertata la correttezza, è particolarmente importante in quanto realizzata con metodi elementari e quindi accessibile anche a persone non particolarmente addentro alla Teoria dei Numeri.

Mentre Wiles giunse alla sua dimostrazione con la collaborazione di altri insigni matematici, Ossicini vi giunse da solo riportandoci alla matematica epica, quella che ha il profumo dell’esplorazione di un mondo (il mondo dei numeri) che non finisce mai di stupire e di affascinare.

 

 

 

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Genio matematico francese di prima grandezza. La sua cultura matematica scaturisce da una profonda conoscenza delle opere dei grandi matematici greci, propiziata da una vasta padronanza delle lingue classiche. Con l’opera <<Ad locos planos et solidos isagoge>> può considerarsi il vero inventore della geometria analitica. Può essere considerato il fondatore della moderna teoria dei numeri, del calcolo delle probabilità ed uno dei più validi precursori del calcolo infinitesimale.

 

Conviene ricordare anche il << piccolo teorema di Fermat >> che afferma quanto segue:

Dati due numeri naturali  e , con p numero primo ed a non divisibile per p, il numero  è divisibile per

Il numero  è  divisibile per .

Questo teorema fu dimostrato da Fermat nel , da Leibnitz e da Eulero nel .

Concludendo possiamo concordare con quanto scritto dallo storico Gino Loria:

<< ……..Fermat seppe tracciare con mano sicura le linee fondamentali della geometria analitica, creò la teoria dei numeri, contribuì nel modo più fattivo alla costruzione del calcolo infinitesimale, si può affermare che questo magistrato, benché tutto permeato di cultura greco-latina, benché abbia sdegnato di servirsi dell’agile simbolica algebrica creata da Cartesio, merita un posto di prima fila fra i creatori della matematica moderna>>

 

 

 

 

Nessun matematico di professione del suo tempo seppe fare meglio di lui che ampliò in maniera significativa gli orizzonti di questa meravigliosa disciplina: la Matematica.

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Schettino   Simone   VB    Napoletano Marialuisa  VB    Guerriero  Pellegrino  VB     Petrillo  Salvatore    VB

 

 

 

Archimede ed il palinsesto di Costantinopoli

 

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Archimede ed il palinsesto di Costantinopoli

 

Archimede può essere considerato il più grande genio scientifico di tutti i tempi ed il primo vero grande precursore dell’attuale analisi matematica. Il grande merito di Archimede non risiede tanto nei risultati ottenuti, che sono molti e di grande spessore scientifico, bensì nel metodo nuovo da lui escogitato per conseguire tali risultati, come illustreremo con dovizia di particolari nel prosieguo di questo articolo. Archimede nacque a Siracusa nel  a. C.. Secondo alcuni era figlio dell’astronomo Fidia e parente di Gerone, re di Siracusa. Studiò in Egitto con i successori di Euclide: Conone da Samo, Eratostene da Cirene. Morto Gerone ( a. C.), Siracusa cadde nel disordine. Dopo un breve regno di Gelone, il figlio Ieronimo fu ucciso e fu proclamata la repubblica. Siracusa si alleò con i Cartaginesi di Annibale e la guerra contro i Romani fu inevitabile. Roma inviò il console Marcello il quale, dopo avere conquistato Leontini, assediò Siracusa. Soltanto con l’inganno e dopo due anni di terrore, Siracusa venne conquistata e barbaramente saccheggiata. <<Un legionario entra in una casa apparentemente disabitata e trova nel giardino un vecchio che disegna figure sulla sabbia. Il vegliardo solleva appena lo sguardo, vede solo che un piede sta calpestando quei segni e dice semplicemente: noli turbare meos circulos.

Quasi nello stesso istante la spada crudele del rude legionario pone fine ai suoi giorni (i Romani, al contrario dei Greci, erano ottimi soldati ma pessimi matematici)>> Marcello fu assai dispiaciuto quando seppe dell’accaduto. Fece seppellire Archimede con tutti gli onori e gli elevò un monumento funebre che rimase dimenticato per secoli. Archimede aveva chiesto ad amici e parenti di scolpire sulla sua tomba un cilindro circoscritto ad una sfera con una iscrizione che indicasse il rapporto tra i volumi e le superfici dei due solidi. Questo per ricordare all’intera umanità che aveva scoperto che la superficie della sfera è equivalente alla superficie laterale del cilindro ad essa circoscritto e che il rapporto tra i volumi della sfera e del cilindro circoscritto vale . Cicerone nel  a. C. la rintracciò, trovò su di essa la sfera inscritta nel cilindro e dimostrò al mondo che Archimede non era un mito ma un uomo veramente vissuto.

 

 

 

 

Di carattere analogo sono i due libri <<Della sfera e del cilindro>> nei quali, oltre alle regole per la determinazione di aree e volumi dei solidi geometrici, sono risolti svariati problemi sui solidi equivalenti. Di natura più elevata è il contenuto degli scritti dal titolo: conoidi e sferoidi ove vengono trattati misure relative ai solidi di rotazione. Con metodi sempre rigorosi ma ingegnosi si trovano trattate importanti proprietà ed applicazioni nell’opera: ”quadratura della parabole e spirali”. In questa opera il Nostro studia per la prima volta la spirale che porta il suo nome e cioè la spirale di Archimede. Particolarmente apprezzabile è l’opera denominata Arenario nella quale si trova un originale sistema di numerazione col quale si può rappresentare (con simboli relativamente semplici) non solo il numero dei granelli di sabbia di un mucchio grande quanto la terra ma anche quello di una quantità di sabbia grande quanto tutto l’universo. Non possiamo non ricordare il suo trattato sui Galleggianti (ampia e metodica esposizione di idrostatica) nel quale espone ed applica il suo famoso principio di Archimede. Ma l’opera più importante di Archimede e che lo rende immortale nel mondo della conoscenza è il “Metodo” scoperta quasi per caso nel 1906.

Quest’opera, che fa di Archimede un gigante della matematica, contiene procedimenti ed osservazioni che poi ritroveremo nelle opere di Cavalieri, Torricelli, Newton e Leibnitz. Il Metodo può essere considerato, pur con le dovute precauzioni, il primo trattato di calcolo integrale.

 

 

 

 

Il Metodo è uno scritto di Archimede del quale si conoscevano soltanto alcuni frammenti riportati da Erone e riprodotti poi da Piero della Francesca e Luca Pacioli. L’opera è importante perché in essa Archimede espone, con rara maestria, un procedimento mediante il quale è possibile scoprire proprietà relative a curve, superfici e volumi difficilmente deducibili per altra via. Questo scritto anticipa di due millenni i procedimenti utilizzati dal moderno calcolo infinitesimale L’opera è una lunga lettera scritta da Archimede ed inviata al matematico Eratostene. Trascurata dai suoi contemporanei non aveva avuto sorte migliore presso i suoi successori e forse, per questo motivo, era stata accantonata e smarrita. La copia più antica delle opere di Archimede è un manoscritto del decimo secolo che ci è pervenuto attraverso una serie di peripezie. Nel  il filologo danese Heiberg, quasi per caso, scorre l’elenco degli antichi manoscritti conservati nella Biblioteca Gerosolimitana di Costantinopoli e si accorge che uno di essi potrebbe contenere le opere di Archimede. Scrive al responsabile della biblioteca e si fa mandare una fotografia di qualche pagina. Quando legge il contenuto non ha più dubbi: si tratta di un antico prezioso manoscritto in greco, su pergamena, forse del  d.C., con scritti di Archimede  .

Heiberg va a Costantinopoli e decifra con grande fatica il documento perché qualcuno, verso il , aveva voluto riutilizzare la stessa vecchia pergamena cancellando le opere di Archimede per scrivere cose di poco interesse. Con sua grande gioia negli ultimi fogli scopre un’opera di Archimede che si riteneva perduta. Si tratta di una copia della lettera scritta da Archimede al grande matematico Eratostene che dirigeva la famosa biblioteca di Alessandria e contenente l’opera più importante di Archimede: il Metodo sui teoremi meccanici.

In tale opera Archimede fornisce dei metodi generali con i quali è possibile scoprire proprietà sulle curve, sulle superfici, sui solidi non ancora note alla scienza del tempo. Quest’opera, pur con le dovute precauzioni, anticipa nella sostanza i metodi utilizzati dall’attuale calcolo infinitesimale. Il suo è un metodo di scoperta e non di dimostrazione in quanto il sommo pensatore non avendo raggiunto una sistemazione critica della sua rudimentale analisi infinitesimale, sente la necessità di chiedere al ragionamento per esaustione la sicura conferma dei risultati che sulle aree, sui volumi egli andava conquistando. Archimede riguarda ogni superficie come composta da tanti segmenti di retta, paralleli ad una data direzione, che la riempiono tutta ed ognuno di detti segmenti rappresenta l’elemento infinitesimo costitutivo della figura. Per calcolare l’area del segmento parabolico  immagina di utilizzare una ipotetica leva di primo genere  di fulcro K. Considera poi i segmenti  ed  come fili omogenei pesanti ed immagina di trasportare il segmento  nella posizione  () in modo che H sia il suo baricentro. Affinché i segmenti pesanti  ed  siano in equilibrio, deve valere la seguente proporzione:  (condizione di equilibrio per una leva di primo genere che Archimede aveva dimostrato in precedenza). Dalla proporzione  deduce la proporzione .Questo consente ad Archimede di affermare che il triangolo  è il triplo del segmento parabolico  e questo,a sua volta, è i  del triangolo . E così Archimede, sfruttando le condizioni di equilibrio di due corpi pesanti sospesi idealmente agli estremi di una leva di primo genere, trasforma l’integrale incognito (area del segmento parabolico ) in un integrale noto (area del triangolo ). Successivamente, per non contrapporsi ai canoni classici del sapere scientifico del suo tempo, dimostra il risultato trovato con la leva servendosi del metodo di esaustione, eliminando così le insidie dell’infinito attuale. Concludendo, possiamo affermare che Archimede ricorre a procedimenti rigorosi, come il metodo di esaustione, per dimostrare delle proprietà scoperte per altra via facendo ricorso alla sua intuizione o meglio a procedimenti che anticipano di due millenni la nascita del calcolo infinitesimale.

 

 

 

 

 

Grande matematico greco del quarto secolo a.C., amico e discepolo di Platone. A lui si deve la teoria delle proporzioni esposta nel V libro degli Elementi di Euclide. Per non servirsi dell‘<<infinito attuale>> e degli infinitesimi attuali, vietati da Aristotele, applica in tutte le sue dimostrazioni uno schema di ragionamento molto rigoroso che nel 1647 fu chiamato da Grégoire de Saint Vincent: metodo di esaustione che può essere applicato secondo due procedimenti diversi nella forma ma non nella sostanza. Ad esempio,se vogliamo dimostrare che due grandezze omogenee A e B sono uguali, basta verificare che non è possibile avere  né  e  quindi, per il principio del terzo escluso (tertium non datur) deve essere . Applichiamo ancora il metodo di esaustione e dimostriamo l’uguaglianza delle due grandezze se verifichiamo che la differenza  finisce col diventare piccola a piacere. Il metodo di esaustione, utilizzato in maniera sistematico fino al seicento, ci consente soltanto di dimostrare un risultato già noto. Anche il grande matematico siracusano applica sistematicamente il metodo di esaustione ma per dimostrare risultati ai quali è pervenuto utilizzando una teoria, rivoluzionaria per il suo tempo ma che contiene il DNA dell’attuale calcolo infinitesimale.

 

Eudosso di Cnido

 

 

 

 

Matematico greco, famoso per avere inventato il mesolabio, uno strumento che permette di determinare meccanicamente le medie proporzionali fra due segmenti, ed il crivello che porta il suo nome e che serve per la ricerca dei numeri primi. E’ il primo scienziato che misura il meridiano terrestre.

Eratostene

 

 

 

Stella di prima grandezza, si fa apprezzare per l’originalità del suo pensiero,per l’acutezza del suo ingegno, per l’originalità delle sue scoperte. Nell’opera il <<Metodo>> Archimede ci spiega come sia possibile calcolare l’area di un segmento parabolico utilizzando, come indivisibili di una superficie piana a contorno curvilineo, infiniti segmenti, dotati di peso ed equivalenti ai trapezoidi infinitesimi dell’attuale calcolo integrale. Con quest’opera Archimede elabora il calcolo infinitesimale anticipando di due millenni Torricelli, Cavalieri, Newton e Leibnitz. Per questo motivo può essere considerato il primo matematico autore di una teoria sul calcolo infinitesimale .

Archimede

 

Mosaico raffigurante la morte di Archimede, il più grande matematico dell’antichità ed uno dei più grandi matematici di tutti tempi Durante la seconda guerra punica Siracusa si schiera dalla parte di Cartagine; pertanto subisce l’assedio dei Romani dal 214 al 212 a.C., anno in cui deve arrendersi. Durante il saccheggio, Archimede viene ucciso da un soldato romano. Secondo un’altra versione, più verosimile, un soldato romano entra nella casa dello scienziato e lo trova immerso nello studio di alcune figure geometriche tracciate per terra. Infastidito dall’inopportuna presenza Archimede redarguisce il rude soldato con la celebre frase:<< Noli tangere circulos meos>>. Il soldato, non riconoscendolo, lo uccide, infrangendo gli ordini del console romano Marcello il quale, consapevole della grandezza di Archimede, aveva ordinato di risparmiargli la vita.

 

 

 

Aristotele nasce a Stagira nel 384 a.C., entra nella scuola di Platone a diciassette anni e vi rimane per venti anni, cioè fino alla morte del maestro (348 a.C.). Nel 342 a.C. è chiamato a Pella da Filippo re della Macedonia in qualità di precettore di Alessandro Magno. Nell’Accademia,la celebre scuola di Platone, Aristotele conosce i più noti scienziati dell’epoca, a cominciare dal famoso matematico Eudosso di Cnido. Nel 335 a.C., morto Filippo e salito Alessandro al trono della Macedonia, Aristotele torna ad Atene dove fonda la celebre scuola denominata Liceo. Nel 323 a.C., morto Alessandro, ci fu in Atene una forte reazione antimacedone. Per sfuggire ai nemici, Aristotele si ritira a Calcide, dove muore nel 322 a.C.   Egli può essere considerato la mente filosofica più universale del mondo greco; Dante lo definisce il <<maestro di color che sanno>>. Grande naturalista, lascia lavori fondamentali nel campo delle scienze biologiche. Nel campo della fisica dà un notevole contributo con l’opera denominata la Fisica nella quale, dopo una introduzione storica, tratta.a) della natura e del concetto di corpo e del movimento; b) dello spazio e del tempo; c) delle forme del movimento.Con quest’opera il Nostro si pone l’obiettivo di spiegarci non solo come il mondo è costituito ma perché esso è costituito proprio così e non in un’altra maniera. Alle scienze matematiche Aristotele dedica poco tempo; va detto, però, che l’avere affermato che l’infinito attuale, e quindi anche l’infinitesimo attuale, non esiste (infinitum actu non datur) ha avuto una influenza negativa sul pensiero matematico dei suoi successori. Egli, infatti,ritiene possibile soltanto la divisione di un continuo (ad esempio una linea piana) in un numero quanto si vuole grande di parti, mediante una infinità potenziale di suddivisioni successive, sempre prolungabili ma mai esauribili. Nega, così, l’esistenza di un continuo, composto da una infinità in atto di ultimi elementi indivisibili. Il conflitto aristotelico tra l’infinito potenziale e quello attuale, che traduce il problema della composizione del continuo, sarà risolto definitivamente dal matematico tedesco Georg Cantor, autore di una aritmetica dei numeri trasfiniti, secondo cui, in determinate circostanze, il tutto può essere uguale ad una sua parte.

 

 

La biblioteca di Costantinopoli

In questa biblioteca si trova il   famoso palinsesto (pergamena sulla quale il testo più antico, lavato e raschiato, viene sostituito con uno nuovo) che contiene l’unica copia dell’opera più famosa di Archimede dal titolo <<Metodo sui teoremi meccanici>>.

E’ una lettera di 174 pagine inviata da Archimede ad Eratostene nella quale fa vedere come è possibile calcolare l’area di un segmento parabolico utilizzando i segmenti pesanti,paragonabili agli attuali trapezoidi infinitesimi che stanno alla base del moderno calcolo infinitesimale. Il testo di Archimede,copiato a Costantinopoli mille anni fa, era stato sostituito nel XII secolo, da un “ Eucologion“,una raccolta di preghiere della Chiesa ortodossa orientale. Il manoscritto venne scoperto casualmente nel 1899 da un paleografo greco, Athanassios Papadopulos Kerameus, nel monastero del santo Sepolcro di Gerusalemme.

Successivamente il manoscritto fu depositato presso la biblioteca Metochion di Costantinopoli e scoperto nel 1906 dal filologo danese Heiberg.

 

 

 

 

Archimede pesa la parabola

Per Archimede una qualsiasi superficie piana a contorno curvilineo è formata da tanti segmenti paralleli che la riempiono tutta.L’area della superficie piana è la somma delle aree degli infiniti segmenti che costituiscono gli elementi indivisibili della superficie stessa. Ma sommare le aree di questi infiniti segmenti non è facile per i seguenti motivi: se questi segmenti hanno area nulla, la loro somma è zero, se hanno area piccola, ma finita, la loro somma non può essere una quantità finita. Il Nostro risolve il problema attribuendo ad ogni segmento un peso che rappresenta l’area di un  trapezoide infinitesimo inscritto nel  segmento parabolico, secondo le vedute  dell’attuale calcolo infinitesimale. Oggi sappiamo, la somma di infiniti termini infinitesimi può essere una quantità finita. Inoltre Archimede usa il <<metodo meccanico>> per scoprire una proprietà che poi dimostrerà rigorosamente col metodo di esaustione seguendo la tradizione classica di Euclide: questo per non contraddire la concezione filosofica dell’infinito attuale sostenuta da Aristotele e seguita da tutti gli scienziati del suo tempo .

 

 

Ricerca effettuata dagli alunni della VB coordinati da Salvatore Amico,

docente di Matematica e Fisica presso il Liceo Scientifico “P.S.Mancini”

di Avellino.

La ricerca è stata pubblicata su Tiri Mancini, giornale del Liceo diretto

brillantemente dalla referente Lia Silvestri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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