EVARISTO GALOIS

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Enrico Fermi: uno scienziato completo

 

 

Già a dieci anni Enrico Fermi (era nato a Roma il  settembre ) aveva uno straordinario interesse per la matematica e soprattutto per la fisica. Ben presto trovò un fraterno amico in Enrico Persico. Insieme eseguivano, con mezzi rudimentali, esperimenti di fisica e spesso andavano in cerca, per bancarelle e rivenditori di libri usati, di trattati di matematica e di fisica. Nei suoi studi di matematica egli fu guidato nel periodo  da Un collega del padre, l’ingegnere Adolfo Amidei, ispettore principale delle ferrovie. Questi, convinto che “Enrico era veramente un ragazzo prodigioso”, cominciò a prestargli, secondo un ordine ben predisposto, una serie di testi di livello universitario di trigonometria, geometria, algebra, meccanica razionale e ingegneria, che il giovane Fermi studiò in modo approfondito nel periodo in cui frequentava il Ginnasio e il Liceo. Nel luglio del Fermi, saltato il terzo anno, conseguì la licenza liceale.

 

 

Nel luglio del 1918 Enrico Fermi conseguì la licenza liceale,avendo saltato il terzo anno.

 

Nel rapporto di estrema fiducia che si era stabilita tra l’ingegnere Adolfo Amidei ed Enrico Fermi si discusse quale fosse la strada migliore per la successiva carriera del brillante e geniale giovane. Le idee di Fermi erano già molto chiare. Quando Amidei gli chiese se preferiva dedicarsi alla matematica o alla fisica la risposta fu: “ Ho studiato con passione la matematica perché la considero necessaria per lo studio della fisica alla quale  esclusivamente dedicarmi.” A quel punto Amidei chiese al suo giovane amico se aveva in fisica conoscenze così buone comein matematica.” La risposta fu: “Sono molto più vaste e, credo, altrettante profonde, perché ho letto tutti i più rinomati libri di fisica.”

 

 

Amidei convinse allora la famiglia a mandare Enrico a Pisa come allievo delle Ragia Scuola Normale Superiore. La prova scritta del  novembre  per l’ammissione alla Normale riguardava i “Caratteri distintivi dei suoni e loro cause”. Il compito svolto da Fermi, basato su quanto studiato nel trattato di meccanica di Poisson, lasciò sbalorditi i commissari per la profondità della trattazione e per la perfetta padronanza degli strumenti matematici. Ben presto egli divenne un personaggio di spicco nell’ateneo pisano; padroneggiava la teoria quantistica dell’atomo, meglio di ogni altro in Italia, compresi i suoi professori; scherzosamente scriveva a Persico: “All’Istituto sto diventando l’autorità più influente, tenendo conferenze sulla teoria dei quanti, di sono un propagandista.” Si laureò nel luglio del  con una tesi sperimentale sulla diffusione dei raggi . Subito dopo la laurea si recò a Cottinga in Germania, per una borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione che gli permise di proseguire i suoi studi e di allargare la sua cultura restando per circa sei mesi nell’istituto di Max Born, proprio nel periodo in cui a Cottinga andavano maturando alcune delle idee che pochi anni dopo sarebbero sfociate nella meccanica quantistica.

 

Prima di recarsi in Germania, Enrico Fermi era stato presentato da Persico a Orso Mario Corbino, professore di fisica sperimentale e direttore dell’Istituto di Fisica dell’università di Roma dove Persico a quell’epoca era assistente. Corbino, colpito dalla maturità e capacità di penetrazione che Fermi mostrava nella discussione di difficili problemi sia teorici che sperimentali, si adoperò affinché, al ritorno da Cottinga, la facoltà di scienze dell’Università di Roma affidasse a Fermi, giovanissimo, l’incarico dell’insegnamento del corso di istituzioni di matematica. Da quel primo incontro fino alla morte di Corbino, avvenuta prematuramente nel , i rapporti fra questi due uomini furono di grande stima reciproca e di amicizia profonda. Da un lato Corbino ammirava in Fermi le qualità dell’ingegno e si rendeva conto, come pochi altri, delle capacità eccezionali del giovane fisico, dall’altro Fermi sentiva l’ascendente di Corbino che si imponeva grazie al suo vivacissimo ingegno, alle sue qualità di uomo di larghe vedute ed al suo fervido spirito di ammiratore degli studi di fisica in Italia. Nei bienni  e  Fermi insegnò, ancora per incarico, fisica matematica e meccanica razionale presso l’Università di Firenze. Il lavoro più importante di questo periodo è quello sulla statistica antisimmetrica, come egli la chiamava. La nuova statistica, che diverrà nota come statistica di , fu il maggior contributo teorico di Fermi alla fisica quantistica. Con questa scoperta Fermi acquistò una notevole fama a livello internazionale. Nel  Corbino riuscì, grazie anche all’appoggio di G. Castelnuovo, Federico Enriques e Tullio Levi-Civita, a fare bandire per l’Università di Roma un concorso a cattedra di Fisica Teorica, il primo in Italia.

Il  novembre la commissione giudicatrice proclamò Fermi vincitore. Il giudizio della commissione sull’attività di Fermi fu estremamente lusinghiero: ”Esaminata la vasta e complessa opera scientifica del professore fermi, la commissione è unanime nel riconoscerne le qualità eccezionali e nel constatare che egli, pure in così giovane età, già onora altamente la fisica italiana. Mentre possiede in modo completo le più sottili risorse della matematica, sa farne un uso sobrio e discreto, senza mai perdere di vista il problema fisico di cui cerca la soluzione.

Mentre gli sono perfettamente familiari i concetti più delicati della fisica classica, riesce a muoversi con piena padronanza nelle questioni più difficili della fisica teorica moderna, cosicché egli è oggi: il più preparato e il più degno per rappresentare il nostro Paese in questo campo di così alta e febbrile attività scientifica mondiale. La commissione pertanto è unanime nel che professore Fermi è altamente meritevole di coprire la cattedra di fisica teorica messa a concorso e ritiene di potere fondare su lui le migliori speranze per l’affermazione e lo sviluppo futuro delle fisica teorica in Italia.”

 

 

 

Nell’autunno del , Fermi si trasferì a Roma nell’Istituto di Via Panisperna, dove iniziò il periodo più fecondo della sua vita scientifica e dove ben presto, grazie al pieno appoggio di Corbino, creò un gruppo di collaboratori: il primo fu Rasetti, al quale si aggiunsero Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Bruno Pontecorvo. Saltuariamente, e solo per quanto riguardava i problemi teorici, partecipava ai lavori anche Ettore Majorana. Intorno a Fermi per la prima volta venne attuato un modo nuovo di fare ricerca, la cosiddetta ricerca di gruppo: non più un professore coadiuvato in posizione subalterna dal suo assistente, ma un gruppo di più ricercatori aventi pari dignità scientifica. Fermi non teneva ai suoi giovani collaboratori lezioni nel senso classico del termine, ma seminari, spesso nella sua stanza, senza nessun orario o schema prestabilito; gli argomenti trattati nascevano spontaneamente, spesso da domande dei più giovani del gruppo, oppure consistevano nei problemi che stava studiando in quel momento.

 

 

 

Sul finire del , mentre il gruppo procedeva lungo la strada intrapresa, Fermi elaborò la teoria del decadimento beta, in assoluto il lavoro teorico più importante e originale di tutta la sua produzione teorica; esso non era ancora apparso sulla stampa scientifica, quando giunse a Roma la notizia che i coniugi , a Parigi, erano riusciti a produrre la radioattività in alcuni elementi leggeri sottoponendoli all’azione delle particelle . Immediatamente Fermi decise di provare a provocare la radioattività usando come proiettili i  (scoperti solo due anni prima da Chadiwick).

Dopo alcuni tentativi infruttuosi, l’esperienza diede esito positivo e Fermi annunciò, nel marzo del , la scoperta della radioattività artificiale provocata utilizzando neutroni. Egli chiese subito l’aiuto di alcuni suoi collaboratori e allievi (Edoardo Amaldi, Rasetti, Segrè ai quali si erano aggiunti il chimico avellinese Oscar D’Agostino ed il neolaureato Bruno Pontecorvo) e si accinse a studiare il nuovo fenomeno su larga scala. In pochi mesi furono prodotti oltre quaranta nuovi corpi radioattivi; molti furono individuati chimicamente e fu dimostrata la natura del loro processo di produzione. Per l’insieme di questi lavori sui neutroni gli fu conferito il premio Nobel per la fisica nel . Recatosi a Stoccolma per ricevere il premio, Fermi preferì non rientrare in Italia in seguito alla promulgazione delle leggi antisemitiche e si stabilì () negli , prima come professore alla  e quindi all’ dell’Università di Chicago, che oggi porta il suo nome. Qui studiò come ottenere la liberazione controllata di energia nucleare da materiale radioattivo in misura utilizzabile praticamente. Il risultato fu raggiunto il  dicembre del  con l’entrata in funzione del primo reattore nucleare (pila di Fermi), alla cui realizzazione Fermi contribuì in maniera decisiva. Dal  prese parte agli studi per la realizzazione della prima bomba atomica, a . Successivamente, tornato agli incarichi universitari, svolse ricerche sulla fisica delle alte energie, propose () una teoria sull’origine della radiazione cosmica ed elaborò matematicamente l’elettrodinamica quantistica. Fu anche valente didatta ed ottimo divulgatore.

Dopo un primo viaggio per partecipare al Congresso Internazionale sulla radiazione cosmica, tenuto a Como nell’estate del , Fermi tornò in Italia nell’estate del  per ottenere un corso (indimenticabile per il contenuto scientifico e la semplicità formale) sulla fisica dei  alla scuola estiva di Varenna. Ma la sua salute era già minata; rientrato a Chicago, veniva sottoposto ad un’operazione esplorativa, che permetteva d’individuare, ormai troppo tardi, il male che lo consumava. Anche in queste circostanze, a lui pienamente note, conservò la sua calma serena fino al momento della sua morte, nella sua abitazione nei pressi dell’Università di Chicago, il  novembre del .

 

 

Come alcuni pochi grandi fisici del passato, quali Newton e Maxwell, Fermi ha saputo riunire in sé competenze e capacità altissime sia nella fisica teorica sia nella fisica sperimentale, sapendosi muovere di volta in volta dall’una all’altra con estrema facilità.

 

La famiglia Fermi

Fermi in un dipinto d'epoca

Fermi nel laboratorio di FISICA

 

Giuseppe Pascale  VB

 

 

 

 

Ettore Majorana     Franco Rasetti     Oscar D'Agostino 

 Un problema morale di Chiara Bruno

 

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Ettore Majorana 

 

 

La scomparsa di Ettore Majorana : un banale incidente o una crisi di coscienza

di Franco Festa

A più di 60 anni dalla sua scomparsa ancora intatto rimane il mistero della scomparsa di uno dei più grandi fisico-matematici italiani di ogni tempo, Ettore Majorana.

E’ il 25 marzo del 1938 quando egli  si imbarca sul postale Napoli-Palermo, dopo aver espresso in due lettere il proposito di uccidersi. Ha  32 anni, ed i maggiori scienziati dell'epoca, Fermi primo tra tutti, ne ammirano le straordinarie qualità speculative. Solitario, scontroso, riservato, il giovane Majorana ha le doti per arrivare a risolvere i problemi connessi con l'invenzione dell'atomica. Poi, l'improvvisa scomparsa. A nulla servono le ricerche dei servizi segreti, spronati dallo stesso Mussolini: il corpo non verrà ritrovato.

Ma è mai salito davvero su quella nave? O, come pensa Sciascia nel suo bellissimo romanzo:”La scomparsa di Majorana”, egli si è rifugiato in un convento in Calabria, dove ha fatto perdere ogni sua traccia? E perché lo ha fatto, se lo ha fatto?

Impossibile rispondere, naturalmente. Ognuno sceglie la soluzione che preferisce, ognuno però è ugualmente avvinto, affascinato da questa figura di scienziato così singolare.

Ma chi è davvero Majorana? Nato a Catania nel 1906, laureatosi in fisica nel 1928, Majorana apparve sin dalle sue prime prove una delle menti più lucide della nascente fisica teorica, tanto da impressionare lo stesso Fermi;  il suo interesse fondamentale era per quelle concezioni che, pur riguardando fatti fisici assai concreti, richiedevano strumenti matematici di grande astrazione, che egli padroneggiava con facilità. All’inizio  si occupò di spettroscopia atomica e successivamente di fisica nucleare. Le sue più importanti ricerche relative a quest'ultima disciplina riguardano una teoria sulle forze che assicurano stabilità al nucleo atomico: egli per primo avanzò infatti l'ipotesi secondo la quale protoni e neutroni, unici componenti del nucleo atomico, interagiscono grazie a forze di scambio. La teoria è tuttavia nota con il nome del fisico tedesco Werner Heisenberg che giunse autonomamente agli stessi risultati e li diede alle stampe prima di Majorana. Anche nel campo delle particelle elementari egli formulò una teoria che ipotizzava l'esistenza di particelle dotate di spin arbitrario, individuate sperimentalmente solo molti anni più tardi. Nel '32, facendo tesoro di ciò che già aveva capito occupandosi di fisica molecolare, Majorana  pensò al problema della struttura dei nuclei. Difficile dire se avesse precocemente intuito che l'idea di nuclei formati da protoni ed elettroni era impraticabile e se avesse già una concezione basata su un sistema formato da protoni e "protoni neutri" come pare chiamasse i neutroni; fatto è che non appena James Chadwick scoprì il neutrone, Majorana fu pronto a formulare una teoria basata su forze di scambio tali da rendere particolarmente stabile il nucleo di elio, la cosiddetta particella alfa.

Nominato professore di fisica teorica all'Università di Napoli nel 1937 per meriti speciali,

nonostante aspirasse ad una cattedra a Roma, Majorana scomparve pochi mesi più tardi. 

Di lui così racconta Emilio Segre: “Egli venne all'Istituto di Fisica di via Panisperna e fu accompagnato nello studio di Fermi ove si trovava anche Rasetti. Fu in quell'occasione che io lo vidi per la prima volta. Da lontano appariva smilzo, con un'andatura timida, quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, le gote lievemente scavate, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell'insieme, l'aspetto di un saraceno”.. E Bruno Pontecorvo aggiunge:  “Per tornare a Majorana, voglio sottolineare che egli era pessimista di natura ed era eternamente insoddísfatto di sé (e non solo di se stesso). Ai seminari di solito egli taceva, ma a volte interrompeva il suo silenzio con qualche commento sarcastico o paradossale, anche se essenziale. Ricordo quante volte ai seminari abbia terrorizzato famosi fisici stranieri. Egli era stato un enfant prodige, era un matematico di grande levatura e, contemporaneamente, anche se può sembrare strano, era una vera e propria "calcolatrice vivente".

Qui forse è la chiave, nella sua prodigiosa capacità matematica. La sua produzione scientifica pubblica è scarsa, solo 10 lavori, ma tutti di eccezionale qualità, tutti apparsi quasi completamente incomprensibili agli scienziati degli anni ’30 e compresi nella loro interezza solo decenni dopo, tutti legati alle questioni della struttura della materia. E’ difficile pensare che egli abbia potuto intuire, in anticipo, dove quegli studi avrebbero potuto portare, alla produzione controllata di una energia incredibile e incomparabile con quella allora disponibile? E’ arduo immaginare che, nei tempi cupi che già si prefiguravano, con l’avvento del fanatismo guerrafondaio di Hitler al potere e con il fascismo che si preparava a seguirne l’esempio, egli abbia potuto capire l’uso di morte e di distruzione totale che di quella energia era possibile? E’ azzardato pensare che, di fronte all’orrore che si intravedeva, egli non sia voluto dichiarare complice e abbia preferito sparire?

Nessuna certezza ci sostiene, nessun indizio ci aiuta. Sparito, e basta. Suicidio o scomparsa, si tratta di una sua scelta, per quanto terribile e inaccettabile: altra scelta, di fronte a quella di altri.

Solo una frase ci risuona spesso nella mente. Quella che su di lui espresse Fermi:

« ... al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C'è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza ... poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene, Ettore era uno di quelli.».

 

           

 

 

 

Franco Rasetti  

 

E’  morto  l’ultimo   ragazzo di  via  Panisperna

 

Franco Rasetti , l’ultimo dei ragazzi di via Panisperna , si è spento all’età di 101 anni a Maremme  dove viveva assieme alla moglie Madeleine . Nato il 10 agosto 1901 a Pozzuolo Umbro , Franco Rasetti è stato non solo il componente più brillante sotto il profilo sperimentale dei ragazzi di via Panisperna ma anche il fisico dotato di una forte sensibilità che lo spingeva ad interrogarsi problematicamente sulle motivazioni etiche che doveva possedere uno scienziato .

Conobbe e fece amicizia con Fermi alla Normale di Pisa dove si laureò all’età di 21 anni . Nel 1930 ottenne la cattedra di spettroscopia presso l’università di Roma ; questo gli consentì di collaborare con Fermi nella produzione della radioattività artificiale ottenuta grazie al bombardamento dei neutroni , successivamente migliorata , in seguito alla sensazionale scoperta delle singolari proprietà dei neutroni lenti . Nella famosa scuola di via Panisperna , dove tutti avevano un soprannome , Rasetti era chiamato il << Cardinale Vicario >> perché affiancava o all’occorrenza sostituiva Fermi  che era il << Papa >>  : insieme  esaminavano gli allievi di fisica ed erano temutissimi per la loro severità .

L’utilità dei neutroni “ lenti “ per indurre una reazione nucleare fu una delle più brillanti  scoperte scientifiche di quel gruppo . La sua continua  applicazione condusse alla scoperta della fissione del nucleo degli atomi .

Egli capì per primo l’enorme potenza nascosta  nei nuclei degli atomi ed intuì pure che questa energia poteva essere utilizzata non per fini pacifici ma per la creazione di ordigni militari .

Per questo scelse volontariamente  di  abbandonare il campo della fisica che non era più fisica di ricerca e di conoscenza ma fisica di guerra e di distruzione .

Convinto antifascista , Rasetti , pur non essendo ebreo , rifiutò di rimanere in Italia dopo la promulgazione delle leggi razziali ed espatriò in Canada , dove gli era stata offerta la cattedra di spettrografia   nell ’ Università  di Laval .Rasetti proclamò pubblicamente la sua avversione a qualsiasi uso militare e distruttivo delle scoperte scientifiche .

Intanto era scoppiata la guerra , e mentre Fermi e alcuni dei suoi compagni di via Panisperna , avevano iniziato a lavorare al << progetto Manhattan >> per la bomba atomica , Rasetti  rifiutò di prendervi parte . Egli affermava che << la fisica non si deve vendere al diavolo >> .

Sconvolto dalla bomba di Hiroshima , Rasetti cominciò a nutrire dubbi sulla stessa disciplina  che  amava  al  punto  che  qualche   anno   dopo   la   guerra   abbandonò la  cattedra  di  spettrografia e si ritirò in Brasile , dedicandosi a quelle che definiva  << scienze storiche della vita >> , in particolare alla botanica ed alla paleontologia .

Il suo abbandono non fu certo perdita di poco conto .

Alla comunità scientifica internazionale veniva a mancare l’apporto prezioso di una delle menti più brillanti del secolo .

Alla fama ed al Nobel ( che avrebbe sicuramente conquistato con le sue straordinarie intuizioni  scientifiche )  preferì il silenzio e il malcelato rancore  dei colleghi  che non sopportavano la sua assoluta integrità morale . Ed il silenziò pervase il resto della sua vita scientifica : la comunità scientifica ignorò i suoi prestigiosi contributi e non  lo premiò con nessuna onorificenza . Sicuramente era il testimone scomodo di un mondo che aveva dovuto subire l’oltraggio  dell’olocausto di Hiroshima .

Per molti suoi colleghi Rasetti era sicuramente un grande scienziato  ma non era in sintonia col potere dell’epoca che privilegiava una ricerca al servizio dell’industria , della guerra , del potere politico dominante  . Stava tramontando l’idea ottocentesca di scienza che non doveva avere nessun compromesso né con la guerra  né con l’industria  né col potere . Essa aveva un solo obbligo : la conoscenza della natura , così come il buon Dio l’aveva creata .

La sua fu una scelta morale in quanto  convinto che la ricerca scientifica dovesse ispirarsi alla conoscenza della realtà che ci circonda ed alla realizzazione dell’uomo come persona pensante ed autonoma .

Per questo suo atteggiamento e per il suo convinto pacifismo  Rasetti , nonostante la sua imponente statura scientifica , è stato poco celebrato dalle autorità accademiche nazionali . Scompare con lui l’ultimo grande protagonista di una stagione esaltante che aveva visto la scienza italiana conquistare un ruolo di primo piano sulla scena mondiale .

Oggi non sono più con noi Fermi  detto il   << Papa  >>  ,   Rasetti   detto   il << Cardinale Vicario >> ,  Ettore  Majorana detto lo << Spirito Santo >> , Pontecorvo detto il <<  cucciolo  >>  ,  Emilio Segré detto  il  << basilisco >> , Enrico Persico detto il << Cardinale di Propaganda Fide >> , Edoardo Amali detto l ‘ << Abate >> .

Ma quanta gloria hanno dato alla scienza con la esse maiuscola ed alla nostra Italia !

E noi italiani , di più limitate risorse intellettuali , siamo fieri di essere concittadini di sì  illustri  personaggi che tutto il mondo giustamente ci invidia .

 

 

 

 

 

 

 

 

 Oscar D'Agostino

 

 

 

 

Oscar  D’Agostino :  un avellinese  alla   corte  del << Papa >>

 

Oscar D’Agostino nasce ad Avellino il 29 agosto del 1901 . Laureato in chimica presso l’Università di Roma , si abilita nella professione di chimico ed inizialmente si impegna nel  ruolo di consulente chimico . Successivamente diventa assistente volontario e poi incaricato presso la cattedra di chimica generale .

Nel 1933, nell’Istituto di Fisica in via Panisperna, un gruppo di giovani studiosi, guidato da Fermi e Rasetti , per poter continuare le ricerche sulla radioattività indotta ha bisogno dell’apporto di un chimico sperimentale. La scelta cade su  Oscar D’Agostino. Nel novembre dello stesso anno il chimico  avellinese comincia la sua collaborazione col gruppo di Fermi e Rasetti , impegnati nello studio dei fenomeni associati al bombardamento mediante particelle alfa  dei nuclei di alcuni  atomi . D’Agostino collabora col gruppo di Fermi  fimo a tutto il mese di dicembre del 1934 .

Rasetti e Fermi riescono a far ottenere a D’Agostino una borsa di studio di approfondimento e di ricerca presso il famoso laboratorio Curie  di Parigi, nel quale svolgono attività di ricerca e sperimentazione  Madame Curie , la figlia Irene ed il genero Federico Joliot. Il periodo di permanenza di D’Agostino a Parigi coincide con quello della scoperta della radioattività artificiale mediante il bombardamento dei nuclei con le particelle alfa.

Nell’ Istituto francese D’Agostino  collabora anche con Haissinsky nello studio delle proprietà elettrochimiche del potassio .

I risultati di queste ricerche saranno pubblicate dal solo Haissinsky in quanto Oscar D’Agostino è costretto a rientrare  urgentemente a Roma nel marzo del 1934 perché Fermi ha bisogno del chimico del gruppo.

Uno dei compiti che viene affidato ad Oscar D’Agostino è quello di preparare il polonio , un elemento radioattivo capace   di   emettere   nuclei  di elio , i “ proiettili “  capaci di indurre la radioattività in una sostanza usata come bersaglio . Un altro compito molto importante affidato ad Oscar D’Agostino è quello di identificare le nuove sostanze ottenute in seguito a tale bombardamento .

L’ avellinese ricorda nelle sue Memorie che il suo arrivo all’Istituto nel lunedì di pasquetta é salutato con gioia, come quello di un collaboratore fondamentale per intraprendere proficuamente il lavoro di ricerca. I componenti del gruppo Fermi hanno fretta ed intendono bombardare i nuclei con fasci di neutroni per ottenere fenomeni di radioattività artificiale.

L’idea è  geniale ; si tratta di fare urtare i nuclei degli atomi , carichi positivamente, con particelle neutre che, come tali, non subiscono le repulsioni cui sono soggette le particelle alfa che sono cariche positive. I neutroni ,invece , sono particelle adatte al bombardamento in quanto hanno massa confrontabile con i nucleoni  e  sono  prive  di  carica elettrica .  D’Agostino si lascia coinvolgere entusiasticamente in questo lavoro e si sposta  da un piano all’altro dell’edificio di via Panisperna  per condividere  con tutti componenti del gruppo  una delle più belle avventure del Novecento.

Il suo compito è quello di rilevare in quantità e qualità tracce più o meno consistenti di sostanze radioattive o di ipotetici nuovi elementi dopo il bombardamento dei nuclei con il fascio di neutroni, compiendo esperienze a “tutto spettro”, indagando cioè su tutti i 92 elementi allora conosciuti. Questo poteva farlo soltanto un chimico molto bravo e ricco di esperienza nel settore, a conoscenza delle tecniche di avanguardia, ma anche pienamente partecipe della problematica generale.

Quando Oscar D’Agostino si dedica alla identificazione delle nuove sostanze che si producono in seguito al bombardamento neutronico , un nuovo mondo si schiude e lo studioso identifica ben 45 elementi radioattivi .

Ricorda Fermi a proposito del chimico: “In tutte queste ricerche ho potuto sempre apprezzare l’abilita’ e l’operosità del D’Agostino nonché la sua attitudine ad orientarsi rapidamente di fronte a nuovi problemi”. 

A causa degli eventi politici , nell’autunno del 1935 il gruppo di via Panisperna si disperde . D’Agostino riprende il suo lavoro al ministero della sanità ; dopo la guerra , s’interessa dell’inquinamento radioattivo indotto dalle esplosioni nucleari nell’atmosfera e ne scopre la pericolosità .

D’Agostino  sostiene  che , una  volta  avvenuta  l’esplosione nucleare , si  ha  la discesa a terra ( fall out ) di tutte le sostanze impiegate e prodotte nell’esplosione ; tra questi materiali vi sono anche degli isotopi radioattivi come ad esempio lo stronzio 90 che è chimicamente simile al calcio e come questo entra a fare parte del terreno . Dal terreno lo stronzio 90 passa nel foraggio e poi nel latte .

Questo , ingerito come alimento , contiene stronzio 90 che si fissa nella ossa ma , essendo radioattivo , emette dannose radiazioni che accompagnano l’individuo per tutta la sua esistenza .

Nella vicenda umana di Oscar D’Agostino appare strano che uno scienziato del suo calibro non abbia ottenuto una cattedra universitaria  .

 

 

 

 

 

Iandolo Francesco   V B

De Angelis  Carmine  V B

Colella  Roberto    V B

 

 

 

 

 

 

 

 Un problema morale

 di

 Chiara Bruno

 

 

UN PROBLEMA MORALE: LE RESPONSABILITA DELLA SCIENZA

 

 

“Noi rivolgiamo un appello come esseri umani ad esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se sarete capaci di farlo, vi è aperta la via di un nuovo Paradiso, altrimenti è davanti a voi il rischio della morte universale.” Sono queste le ultime parole del Testamento Spirituale di A. Einstein, “un appello come esseri umani ad esseri umani”. Ma l’essere umano uccide l’essere umano, come Caino uccise Abele; l’essere umano costruisce la ruota della tortura, il carro armato, la bomba atomica… Scienza come ricerca finalizzata allo sviluppo, oppure “scienza esatta piegata allo sterminio”? Scienza = Progresso. È il risultato di una semplice flessione mentale. Ma da tempo si è affacciato al nostro orizzonte un nuovo significato del termine “scienza”, che evoca invenzioni disumane, terribili, mostruose. È l’immagine della morte quella che “fa capolino” dai nostri libri di storia. È lei che viene ad infrangere tutte le nostre certezze, speranze, illusioni. L’uomo dovrebbe allora rinunciare alla sua insaziabile sete di conoscenza, a questo privilegio che lo rende diverso e immortale? Non dimentichiamo i successi della ricerca genetica che hanno portato alla scoperta delle cellule staminali; non trascuriamo i risultati dell’elettronica, che trasformano di giorno in giorno la nostra società, proiettandola verso un futuro nuovo e affascinante; non dimentichiamo ancora l’astronautica, che ha aperto i nostri occhi a spazi mai neppure immaginati, a sconfinate distese di stelle e di pianeti inesplorati. Questa è Scienza, signori! Al contrario, una scienza che comporti rischi per l’umanità non è soltanto colpevole, ma, secondo me, non è neanche scienza. Da poco tempo si è spento Franco Rasetti, uno dei “ragazzi” di via Panisperna, amico e collaboratore di Enrico Fermi.Nel lontano 1943, fu chiesto a Rasetti di partecipare ad un progetto, che avrebbe portato alla costruzione della prima bomba atomica. Rasetti, consapevole della responsabilità di una ricerca, il cui risultato avrebbe potuto implicare rischi mostruosi, rifiutò. Più tardi spiegò questo rifiuto e scrisse il suo Testamento Spirituale, in fondo così simile nella sostanza a quello di Einstein: “La scienza può dire ‘Se vuoi costruire una bomba devi fare così e così’, ma la scienza non può mai dirci se dobbiamo costruire una bomba. Penso quindi che gli uomini dovrebbero interrogarsi più a fondo sulle motivazioni etiche delle loro azioni. E gli scienziati non lo fanno molto spesso”. Come definire quest’uomo? Un folle? Un traditore? Un pentito? Gli scienziati sono responsabili dell’uso che sarà fatto dei risultati dei loro studi e delle loro azioni? Devono comunque andare avanti nella loro ricerca, declinando qualsiasi responsabilità? Insomma, è in discussione il progresso scientifico o quello dell’umanità?Sono giovane e, certamente, non posseggo gli strumenti culturali adeguati per dare una risposta definitiva a questi interrogativi. Tuttavia io penso che la scienza riguarda l’uomo, tutti gli uomini e quindi anche me. Franco Rasetti ci ha indicato la strada. Io credo che sia quella giusta. Voi che cosa ne pensate?

 

 

 

 

 

 

 

 

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